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Crisi, parassiti e case abitate

  • Immagine del redattore: Arcobaleno Psicologia
    Arcobaleno Psicologia
  • 24 mar 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 25 mar 2020

Durante gli anni della crisi economica che nell’attuale secolo, a partire dal 2007, ha coinvolto tutti gli Stati della Terra, definita “la grande recessione”, il filosofo francese Michel Serres scrisse un volumetto intitolato Tempi di crisi, in cui analizzava i principali eventi della contemporaneità che avevano determinato il nuovo assetto globale. Tra questi, lo scrittore aveva analizzato i cambiamenti nel settore dei trasporti e la mobilità delle persone, cresciuta mille volte dal 1800 ad oggi: «Questi spostamenti», concludeva l’autore, «espongono il sistema immunitario degli uomini a pandemie alle quali forse un giorno non sapremo più come rispondere» (Serres, 2010, p. 9). Sempre Serres ricordava i grandi progressi nel campo della salute. Intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso la disponibilità di penicillina e degli antibiotici hanno cambiato il panorama della salute e l’ingresso sul mercato di antidolorifici e analgesici hanno modificato la nostra esperienza del dolore; è inoltre possibile ora controllare il tempo della nascita e le modalità di riproduzione della specie, così come è cambiata la concezione che abbiamo dei corpi. Tuttavia, il tempo che stiamo vivendo sembra ricordarci che siamo vulnerabili, imperfetti, soggetti al dolore fisico e all’aggressione virale. La salute sta vivendo un tempo di crisi.


Se fino a pochi giorni fa il termine “virale” serviva ad indicare soprattutto la quantità di visualizzazioni di un video su YouTube o la diffusione di una immagine o di una “notizia”, adesso questa parola rimanda bruscamente alla scienza e alla medicina ed assume connotati meno frivoli e più carichi di angoscia di morte e disperazione. Il virus, che in latino vuol dire “veleno”, indica «in biologia un gruppo di organismi di natura non cellulare e di dimensioni submiscroscopiche che sono incapaci di un metabolismo autonomo e perciò caratterizzati dalla vita parassitaria endocellulare obbligata […]. Quando un virus riesce a penetrare all’interno di una cellula con la quale è venuto in contatto, il suo genoma si integra nel materiale genetico della cellula ospite alterandone così il patrimonio genetico e obbligandola a sintetizzare acidi nucleici e proteine virali […] » (Vocabolario Treccani on line).

L’immagine del parassita che minaccia l’inizio del nuovo decennio richiama alla memoria un film recentemente acclamato dalla critica, vincitore del Premio Oscar come miglior film e della Palma d’Oro a Cannes, apparso quest’anno sui grandi schermi e rimasto a lungo in programmazione nelle sale cinematografiche, quando vedere un film poteva ancora essere una esperienza emozionale condivisa in una sala buia, con dimensioni di vicinanza delle poltroncine di velluto rosso tale da far sentire i sospiri, il pianto, le risate, l’odore del popcorn, lo spostamento del gomito dello spettatore che sedeva al nostro fianco. Il film si intitola Parasite (Parassita), del regista coreano Bong Joon-ho, e racconta la storia di alcuni “parassiti” della società, che si appoggiano alla classe agiata, ne invadono la casa, usano il loro cibo, si nascondono per poter sopravvivere e si moltiplicano portando a vivere tutta una famiglia nella casa di un’altra, con ben più potenti mezzi di sopravvivenza. Tuttavia, “l’organismo scelto” per ospitare i parassiti è già debilitato, incrinato nei rapporti umani, falso nelle reti sociali, povero interiormente, sebbene inserito in una cornice di ricchezza materiale e di spazi luminosi, splendidi esempi di architettura contemporanea. Nel film Parasite il regista affronta il tema delle classi sociali e della tentazione di essere parassiti di un altro segmento della società, in un universo in cui ciò che conta sono les choses, le cose materiali, come per i due protagonisti di George Perec negli anni Sessanta del boom economico; la casa viene rappresentata nel film o come cantina umida e malsana ma piena di vita o come spazio asettico e lussuoso, tuttavia privo di calore relazionale.


In un altro film del 2006, The Host (letteralmente: l’ospite), il regista racconta con toni di suspence e di acuta ironia l’irruzione nella città di un mostro, nato dalla superficialità di alcuni scienziati che gettano bottiglie di formaldeide nel fiume Han, incuranti dell’ambiente. Il mostro innesca il caos nell’ordine, svuota la città, mette a soqquadro la vita di tutti generando panico e terrore, agita la coda nelle acque del fiume e inghiotte vite umane a caso. Viene ingaggiato l’esercito per sconfiggerlo e viene dichiarato lo stato d’allerta. Ad un certo punto della narrazione, si sospetta che il mostro sia portatore di un virus contagioso e questo sospetto fa sì che chiunque sia incidentalmente entrato in contatto con lui venga isolato in quarantena, per evitare il contagio. Grazie alla famiglia Park, evasa dalla quarantena, alla ricerca di una bambina perduta nella fuga generale, il mostro viene sconfitto. Un bambino si salverà e sarà, in qualche modo, portatore di un messaggio di speranza e di riscatto delle classi umili, alle prese con un quotidiano che, anche nella sua ripetizione, ha senso e significato. L’immaginario del regista acclamato dalla critica ci riporta ad alcuni temi che stiamo vivendo oggi e che, con fatica, cerchiamo di categorizzare immersi in una realtà confusa e pieni di emozioni.


Paura, angoscia di morte, ansia, panico, preoccupazione, senso di vuoto, impotenza, anche colpa, se il contagio avviene nella rete familiare, tristezza, rabbia, frustrazione. Siamo davanti ad un evento che ha sconvolto la nostra quotidianità e che ci vede spettatori alla finestra o attori in prima linea nella “lotta” al mostro che devasta le città, diffondendosi con una rapidità inaudita. Tutto l’assetto urbano è modificato, le attività produttive sospese, i riti funebri cancellati, le nascite non vengono festeggiate, le scuole non possono essere più vissute come luogo di socializzazione in quanto, come assembramenti, diventano pericolose, e le carceri, istituzioni chiuse per eccellenza, si ribellano proprio nel momento in cui tutte le nostre abitazioni devono chiudersi ad ogni inflessione del mondo esterno (ad esclusione del supermercato e delle farmacie). Il pensiero del fuori, direbbe Foucault (“[…] la distanza in cui si costituisce e dove sfuggono, non appena vi si rivolga lo sguardo, le sue certezze immediate” p. 18), non ci attraversa più e l’antidoto al male è la segregazione. Come accadde già nell’epoca della peste, spesso questi provvedimenti necessari si accompagnano ad atti di follia, irrazionalità, spaesamento davanti alle nuove regole di convivenza. Ricorda Elisabetta Lo Vecchio in un interessante saggio sulla peste (Lo Vecchio, 2005, p. 29) che le uniche categorie che contano in una città appestata sono quelle di sano e malato, contagiato o non contagiato, in una dimensione sociale livellata, in cui chiunque può appartenere ora all’una, ora all’altra categoria. Prìncipi, primi ministri, politici, attori, cantanti, calciatori, postini, operatori dei call-center, infermieri, medici: nessuno è escluso dall’ondata devastante. Nessuna categoria protegge dal pericolo. L’utopia della città regolata e organizzata cade (pensiamo a Milano e al suo essere mito di produttività, simbolo del terzo millennio, e vediamo ora le scritte luminose sui grattacieli prodotte dall’accensione mirata di alcune finestre: state a casa), così come cadono anche le distinzioni sociali.


L’aspetto di omogeneizzazione, opposto a quello della differenziazione, richiama alla mente anche aspetti psicologici ed emozionali, contrapposti su un continuum ideale alla possibilità di fare pensiero su quanto sta accadendo. Immersi nel magma indifferenziato dell’emozione, siamo incapaci ancora di dare senso agli eventi, di fare connessioni. Nel mondo delle emozioni inconsce, evocato dallo psicoanalista cileno Matte Blanco (2000), si fa fatica ad attivare il pensiero dividente del modo di essere conscio, per il quale ciò che conta è fare differenze, stabilire connessioni, ristabilire la storia là dove c’era l’universalità e l’atemporalità del mito. Ad esempio, si fa fatica a volte a capire che giorno è. Tempo e spazio vanno riorganizzati, ripensati.


Lo stesso stare a casa, comportamento protettivo, e l’essere lontani gli uni dagli altri per proteggerci, come i porcospini di Schopenhauer che devono cercare una giusta distanza per non pungersi, può evocare poli emozionali del tutto opposti: senso di solitudine intesa come abbandono, senso di rassicurazione e felicità dei pomeriggi ritrovati, senso di preoccupazione per la perdita del lavoro. La casa è sicuramente un oggetto polisemico: sta a noi riempirla di significati per non farne un luogo angusto e malsano o una villa impersonale, come nel film sudcoreano.


Come ben ricorda, tra i vari articoli, un servizio apparso il 10 marzo 2020 sul New York Times e ricco di immagini fotografiche di repertorio, il genere umano ha attraversato molte epidemie e pandemie. Oltre a queste, abbiamo affrontato catastrofi naturali, come l’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse Pompei ed Ercolano e che ha ispirato l’ultimo componimento Leopardiano, La ginestra o il fiore del deserto. Il destino umano trascende i secoli e si fa beffa di quelli superbi e sciocchi, che hanno l’illusione di controllare tutto. Il messaggio di Leopardi è un invito alla solidarietà tra gli uomini, alla “umana compagnia", alla flessibilità propria dello stelo della ginestra.


La ginestra è la speranza tra le rovine, come lo sguardo del bambino per Bong Joon-ho, perché, come disse Chesterton all'inizio del Novecento, « le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. I bambini lo sanno già che i draghi esistono. Le favole dicono che i draghi possono essere sconfitti».

Silvia Potì


Bibliografia


AA.VV.

Retrieved 2020-03-24 Virus, in Vocabolario Treccani, http://www.treccani.it/vocabolario/virus/

Cowell, Alan

2010 Photos from a century of epidemics, The New York Times, March 20, 2020

Foucault, Michel

1998 Il pensiero del fuori, SE, Milano

Leopardi, Giacomo

2005 I Canti. Einaudi, Torino.

Lo Vecchio, Elisabetta

2005 La città appestata. In P. Zanotti, Contaminazioni. Quaderni di Synapsis IV, Le Monnier, Firenze, pp.21-33.

Matte Blanco, Ignacio

2000 L’inconscio come insiemi infiniti: saggio sulla bi-logica, introduzione e cura di Pietro Bria, prefazione di Remo Bodei, Einaudi, Torino.

Serres, Michel

2010 Tempo di crisi, Bollati Boringhieri, Torino





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